| Agostino De Romanis è nato a Velletri il 14 giugno 1947. Ha cominciato  a dipingere giovanissimo e ha esposto presto le sue opere in mostre personali a  Roma, dove è stato subito apprezzato per la sua perizia e originalità. E’ un  artista  che, nel corso della sua lunga  carriera, ha prodotto opere di grande valore, attestato da critici insigni,  come è documentato dai cataloghi, pubblicati da importanti case editrici. La sua produzione pittorica è vastissima,  essendo iniziata durante la frequenza dell’Accademia romana delle Belle Arti,  dove ha conseguito brillantemente il titolo di scenografo. Il legame con Roma è  rilevante fin dagli anni settanta, si consolida nel tempo, irradiandosi in  Italia, in Europa, in altri Continenti, e giunge fino ai nostri giorni.
 Una caratteristica peculiare del pittore è  la realizzazione di “Grandi Opere”,  di rilevante spessore culturale, attraverso le quali interpreta momenti  significativi  della cultura e della  storia dell’umanità, in molteplici rappresentazioni pittoriche originali e  pregnanti.
 
 La pittura di Agostino De Romanis, fin dall’inizio, presenta due fasi  di sviluppo, la cui analisi permette di riconoscere, da un lato,  l’arricchimento dei contenuti e l’approfondimento dei temi via via trattati,  dall’altro, l’affinamento formale, caratterizzato da un’intelaiatura  compositiva sempre più ragionata e aperta, e sostenuto  da felici intuizioni cromatiche.
 Il primo De Romanis, com’era  naturale considerando gli studi da lui intrapresi, è “Pittore scenografo”, nel senso che dipinge soprattutto ambienti,  destinati a vivere e a popolarsi di figure, a divenire supporti indispensabili  della rappresentazione di scene: è così che allo scenografo subentra  irresistibilmente il pittore che delinea sveltamente la figura, e si resta  incerti nel decidere se si tratti di un abbozzo nato da un dilemma  dell’artista, oppure propriamente di un’immagine che deve suggestionare da  lontano, essenziale com’è, marcata e rilevante, talora pur nel groviglio di  linee. In siffatti ambienti, variamente composti, è la figura femminile sempre  presente.
 Ricordo che già negli anni settanta, nei  primi emozionanti incontri nello studio del pittore,  restai incantato dalla serie delle “Modelle”. Si  intuiva che erano nate dalla mano veloce e  già esperta di un giovane, esuberante ed estatico: attento non alle fattezze  esteriori, ma all’idea di donna, con o senza volto, tutta armonia di linee,  riproposta in inesauribili posizioni, nel contorno di ambienti essenziali come  quelli degli scenari teatrali.
 Nella seconda fase, De  Romanis assume pienamente coscienza della sua condizione di pittore; se nella  fase precedente era preminente l’interesse per l’ambiente, ora è la figura a  campeggiare sovrana sulla tela, una figura nuova, non più soltanto segno  assurto a immagine, ma realtà di coscienza, estrinsecazione di anima, tanto da  potersi parlare di “Nuova figurazione”,  con la felice ed efficace espressione, coniata dal critico MarcelloVenturoli.
 Nel momento in cui gli aspetti  formali si definiscono e si arricchiscono in un intenso sviluppo creativo,  l’artista si cimenta nella ricerca di contenuti emergenti dall’attualità del  tempo. Infatti non si può capire l’arte di Agostino De Romanis, senza guardare  nella tela e al di là della tela, il quadro convulso, instabile, drammaticamente  coinvolgente del secolo scorso, alla cui problematica l’artista partecipa con  lucida intensità.
 Quelle di De Romanis non  sono creazioni facili: il tormento è la molla che, estenuando la ricerca di  profondità interiori, rompe spazi chiusi e impone linee forti e luminose, per  recuperare immagini di infinita sofferenza ma di struggente poesia. Su sfondi  metallici, tra i segni di una realtà incomposta e divisa, allora s’impongono  potentemente volti di un’umanità autentica, anime più che elementi corporei,  voci spirituali, evocatrici di paradisi perduti. Si tratta di figure assorte e  problematiche, atteggiate a grido di dolore, incatenate tra le linee, nate sì  dal brillante e raffinato estro creativo del pittore, ma assurgenti tuttavia a  segni allegorici di straordinaria potenza.
 In tali opere, la commedia  del mondo, nell’interminabile susseguirsi di generazioni e di epoche,  riconverte a sé la presente epoca, superbamente in rottura con verità, tradizioni  e miti, avvinta dall’inoperante ambizione di creare un mondo fuori del mondo e  un uomo diverso dall’uomo.
 Agostino De Romanis,  consapevolmente lontano da siffatte elucubrazioni intellettualistiche, in un  contorno di immutabile serenità, che è quello della provincia in cui vive e  opera, crede nell’uomo, vuole farlo parlare con la sua voce più bella e  autentica, vuole farlo uscire dall’angosciata solitudine: si sforza di leggere,  al di là del buio e della decomposizione presente, scene di convergenza e di  luce.
 
 Agostino De Romanis ha concepito  la serie “10 Tavole della vita”  come   difesa dei valori della vita, a cui fermamente crede, in base alle sue  più profonde convinzioni, sollecitato da discussioni pubbliche e da eventi di  particolare rilevanza.  Si mostra subito  capace di entrare in complesse problematiche e al rigore  stilistico unisce una delicatezza di toni,  indice della sua sensibilità d’animo.
 Come in seguito verrà anche sottolineato  dai critici, emerge un’altra peculiarità dell’artista, il quale sa dare rilievo  “scultoreo” alle immagini, che si stagliano dal fondo della tela, come statue  di straordinaria potenza. Infatti De Romanis, in varie occasioni, sarà attratto  dalla scultura, ideando originali opere in ceramica o in metallo, con fusioni  in bronzo, e anche trasponendo immagini, dall’una all’altra espressione  artistica.
 
 Nei 20 Dipinti de “La Gerusalemme liberata” di Torquato  Tasso, il dramma del Poeta, De Romanis  l’ha sentito particolarmente e l’ha voluto calare in sé, non certo per  manovrarlo soggettivamente, bensì per superare la fissità della storia  raccontata. E’ riuscito, pertanto, a leggere in un’anima dolorosamente  perplessa e divisa (nel clima severo della Controriforma) tra la passione di  vita terrena suggestionante e allettatrice, e la mistica tensione religiosa,  ammorbata però  da scrupoli e da  ossessioni; conflitto questo duro, senza sbocchi risolutivi e senza tregue, che  condusse purtroppo il grande Autore alla pazzia.
 De Romanis trova proprio qui  la chiave interpretativa dell’arte di Torquato Tasso, che egli guarda con  grande rispetto e con infinita pietà: i personaggi perdono allora molto della  loro vernice mitica, vengono quindi riplasmati, rigenerati; per far questo, il  pittore attinge direttamente al tormento creativo del Poeta, la cui anima egli  vuole rappresentare sulla tela. Intanto egli sviluppa arditamente le strutture  tipiche della sua composizione, ormai traboccanti di significato allegorico, ed  esperimenta nuove sintesi cromatiche, luminose, attive, misteriche.
 Tale grande Opera,  realizzata alla fine degli anni settanta del  secolo scorso, stampata in un numero limitato di copie numerate e firmate,  (pagine 676, formato cm.35x25, con copertina e custodia in pelle di  pregio), corredata da  preziose litografie dei Dipinti, ha segnato un  salto di qualità dell’artista veliterno, che da allora si è meritatamente  proiettato verso obiettivi  sempre più  elevati fino al presente. Io, che ho avuto il “privilegio” di essere coinvolto  nella grande avventura artistica, allora scrissi il “commento” riproposto nella  nuova edizione, curata dall’esimio scrittore, storico e critico d’arte Roberto  Luciani.
 Per chi crede nella “Provvidenza”  – e sicuramente De Romanis da fervente cristiano crede nell’intervento  dell’Altissimo nella vita di ogni sua creatura – nell’itinerario religioso  della sua arte  era segnata la tappa  della “Antica e Nuova Alleanza”. E’  singolare che tra i tanti artisti romani, sicuramente interessati ai due grandi  Dipinti dell’Abside di San Giuseppe Artigiano in Roma , sia stato scelto  proprio De Romanis.Interessante è la storia della nuova  chiesa.  Dopo che papa Pio XII, il 1°  maggio 1955, aveva proclamato San Giuseppe   “Protettore dei lavoratori”, si pensò subito di dedicare al Santo  “falegname”  una Chiesa nel popolare  quartiere Tiburtino della Capitale, in continua espansione.  Solo tre anni dopo, il Cardinale Vicario  Clemente Micara,  che era anche Vescovo della Diocesi  Suburbicaria di Velletri, inaugurava la nuova   grande Chiesa, con un ampio complesso di opere parrocchiali. Meno di  trent’anni dopo, un artista veliterno, figlio di artigiani, realizzava due  straordinari Dipinti per l’Abside ancora spoglia, ai lati dell’imponente Croce  centrale.
 L’inaugurazione, in una piovosa giornata  del novembre del 1987, avvenne solennemente, alla presenza del Cardinale  Sebastiano Baggio del Titolo della Diocesi Suburbicaria di  Velletri. Lo stesso illustre porporato che,  nel 1981, aveva scritto la presentazione – pubblicata sull’”Osservatore Romano,  organo ufficiale della Santa Sede, diffuso in tutto il mondo –  del libro “Papa Wojtyla  e  Velletri”,   da  me    scritto   in stretta  collaborazione con il pittore, autore della copertina e delle originali illustrazioni,  in occasione della visita di papa Giovanni Paolo II a Velletri. Lo stesso  Pontefice, amatissimo da tutto il mondo, successivamente in  visita alla parrocchia di San Giuseppe  Artigiano, benedirà con ammirazione i due Dipinti dell’Abside.
 Intanto il critico d’arte Italo  Mussa aveva presentato le “Opere recenti” di Agostino De Romanis, titolo di una  pubblicazione del 1986 (De Luca Editore, Roma) con il fondamentale saggio  “Pittura e poesia”, di grande importanza per  la collocazione dell’artista veliterno in una corrente artistica di rilievo: la  “Pittura colta”, fondata da Mussa  nel 1980.È riscontrabile nell’ultima serie di opere  – scrive l’insigne critico  –   “la  principale novità della Pittura colta di Agostino De Romanis cioè la creazione  di nuove iconografie neometafisiche dell’arte” nella “novità neosurrealistica  della sua pittura”. Ugualmente evidente resta l’inquietudine dell’artista, che  “inabissa i suoi fantasmi in uno spessore sensibile, in cui astrazione e  figurazione trasmettono liberamente l’energia sensibile del gesto. Una  energia inesprimibile, non ostile alla  bellezza ed al mistero… L’arte è follia distaccata dalla ”produzione”, è  un’evidenza suprema che fonda e muta costantemente il proprio linguaggio, come  avviene nella Transavanguardia e nella Pittura colta. Se l’arte raffigura  l’attesa di uno spessore nuovo, l’artista, con il suo sguardo avido  d’innocenza, ne ricerca i passaggi interni che, fuggendo, lasciano qualcosa di  psichico e analitico”.
 Notevoli sono stati gli approfondimenti del  nuovo orizzonte artistico, nelle Mostre di De Romanis curate da Mussa, in  Italia e all’estero. Il critico, scomparso prematuramente, ha presentato i  relativi Cataloghi, pubblicati da De Luca Edizioni d’Arte.
 
 Tra le grandi Opere di Agostino  De Romanis  assume un’indubbia  centralità  la serie “Acqua Aria Terra Fuoco”.  Si è scritto di “Viaggi nel pensiero”, in  maniera appropriata, perché il Pittore si avventura negli itinerari  affascinanti della storia dell’umanità. Il primo “viaggio” è nel pensiero dei presocratici: Democrito, Anassagora,  Talete, Empedocle, Eraclito, Pitagora.
 Omero   ha attirato la sua attenzione sul mito e  gli ha indicato il metodo della ricerca che appassiona e coinvolge totalmente:  può fare a meno del lume degli occhi, ma si avvale della forza  dell’immaginazione e dell’impeto del sentimento, per scavare attraverso le  stratificazioni del tempo e ritrovare i segni veri della vita dell’uomo nel  mondo. Esiodo gli ha suggerito  di farsi pastore per contemplare lo splendore e la magnificenza della Natura.
 Filosofia e mitologia,  scienza e poesia si sono così intrecciate nella ricerca. E, non avendo ostacoli  di spazio e di tempo, perché alla libera arte tutte le connessioni e tutti gli  sviluppi sono possibili, l’artista è giunto a Leonardo e a Galileo, scoprendo  un’altra profonda immagine dell’Universo. E con Galileo ha concluso il suo  primo straordinario viaggio, ma per cominciarne subito un altro.
 Francesco, il “poverello  d’Assisi”, egli già lo conosceva e non solo di nome; era vivo nella sua  coscienza, nella sua fede: un amico interiore. Dovendo imbarcarsi nell’”itinerarium  mentis in Deum”, come sintetizza mirabilmente il francescano San Bonaventura,  non poteva scegliere guida migliore. Il “Cantico delle Creature” gli ha  permesso di realizzare  quattro dipinti,  reiterazioni sempre nuove e vive dello spirito del Santo; e possono  considerarsi parti di un armonico polittico che è l’esaltazione della Natura  creata da Dio.
 Impegnativo è stato il  successivo passaggio all’Antico e al Nuovo Testamento. Dai Vangeli egli ha  tratto gli episodi che gli permettessero un incontro, il più diretto possibile,  con la figura umana e divina di Gesù Cristo.
 Per ultimo il suo viaggio,  il più breve,  si è svolto nel pensiero  poetico. Più che una novità, era la ricerca di collegamenti e di conferme.
 A documentare l’imponenza di  tale Opera di oltre cento Dipinti è la pubblicazione dell’Editrice Electa di  Milano, con testi importanti di Piero Gelli e Stefano Zuffi, e anche con un mio  scritto.
 
 Tormento ed estasi  caratterizzano la serie “Carceri e vie di fuga”, nata all’improvviso nella mente  dell’artista, reduce dai trionfi di “Acqua, Aria, Terra, Fuoco”, soprattutto nella  Mostra a Sidney in Australia.
 Era riaffiorata pesantemente nel suo animo  la condizione esistenziale dell’uomo, vittima delle incomprensioni, delle  ostilità, delle negazioni di spazi e tempi interiori. Le “Carceri” evocano  metaforicamente tutto questo e il tormento che ne deriva nella quotidianità  della vita. Ma,  come ha ben messo in  risalto il critico Enrico Smith –  che ha  presentato il Catalogo, edito  dall’Electa di Milano –  Agostino De Romanis non è il tipo da restare  “imprigionato” e  le “vie di fuga” sono  risorse interiori che si collocano sulle ali della sua arte, ancora una volta  imprevedibile e per ciò stesso rilevante.
 Così pure rimane interessante la  chiave interpretativa offerta da Domenico  Guzzi che ha intitolato significativamente la serie di dipinti da lui  presentata per la Mostra al Centro Culturale   dei dipendenti della Banca d’Italia a Roma: “Fabulae Sogni Immagini Simboli”. La “fabula” è “principio creativo  che nulla ha a che vedere – o se mai in modo obliquo – con la realtà. Ogni  rapporto nella “fabula” perciò, si altera, si deforma, diviene evanescente e  senza contorno… L’immaginario. È qui il regno senza riserve dell’invenzione. È,  questo, il luogo ove tutto si giustifica. È il prodigio del creare  fantasticamente… È  sogno. Pulsione ad  essere altri da sé. Volontà di vivere nell’irrazionale dimensione del  chimerico… È, forse, la vita dell’inconscio”.
 Un’altra serie di opere, prodotte  nel giro di parecchi anni, è quella dei “Ritratti”.  I primi, sicuramente dedicate a donne e ad altre persone conosciute, risalgono  alle prime esperienze pittoriche ed evidenziano già un’innovativa impostazione,  in quanto non sono semplici raffigurazioni, ma “letture” profonde, mirate a  rappresentare le complesse personalità, con colori e linee, assurgenti a  simboli.  Numerosi sono  i “Ritratti di Angela”, che lasciano trapelare  il  rapporto di amore intenso per la  donna, con la quale ha condiviso anche la passione per l’arte. Tra gli ultimi è  da annoverarsi il “Ritratto del Poeta”, che mi è stato dedicato e mi ha  emozionato, al punto che la mia gratitudine non avrà mai fine, e solo in parte  è  esplicitata dalla Biografia che di lui  ho scritto, pubblicata in varie edizioni, tra cui l’ultima “De Romanis pictor”  (Palombi Editrori). “Il grande cammino”,  come atto di fede e di amore del pittore,   è la grande Opera  dell’Anno Santo  2000 e risente  della forte emozione del  passaggio dall’uno all’altro millennio, sotto la guida del  compianto “Patriarca” Giovanni Paolo II. La serie di 21 dipinti è stata presentata  dal Vescovo di Velletri, S.E. Andrea Maria Erba, dal professor Marcello Ilardi  e da me. Le Mostre sono state allestite in due luoghi importanti e suggestivi:  l’Abbazia di Casamari e il Museo Diocesano di Velletri.
 Agostino De Romanis ha dipinto, uno ad  uno, i quadri meditando e pregando. E almeno un’immagine  è  “profetica”: quella che vede il Papa  raffigurato di spalle, come quando, nell’ultima Via Crucis, ormai prossimo a  lasciare la vita terrena, così è stato ripreso in ginocchio dalle televisioni  di tutto il mondo, quasi fosse già in viaggio verso l’eternità, già Santo per  acclamazione universale, per aver insegnato e testimoniato al mondo il coraggio  della Verità che abita nell’interiorità di ogni uomo e donna, anche in questa  travagliata epoca.
 In un panorama artistico, già  tanto ricco di originali e significative produzioni, è prorompente l’amore per  l’Indonesia, che occupa una parte considerevole della vita di De Romanis, per i  viaggi e i soggiorni in un lungo arco di tempo. I   relativi Dipinti sono quindi molto numerosi, come pure le pubblicazioni,  legate sempre a eventi di grande rilevanza in Italia e in Indonesia, a  cominciare da “Riscoprire l’Indonesia – miti  e leggende” (Il Cigno Edizioni Roma),  per la prima Mostra, nel 2003, nei Musei di San Salvatore in Lauro, e “Rediscovering Indonesia” (Erma di  Bretschneider Rome/Italy), nel 2004, per le Mostre in Indonesia, sempre con la  presentazione  dell’insigne critico  d’arte Vittorio Sgarbi.
 L’Indonesia  per Agostino De Romanis è più di un interesse culturale e artistico, molto più  di un fascino esotico,  ricorrente nei  visitatori occidentali: è un amore – si può dire – nato a prima vista e restato  intatto a distanza di decenni, nel passato e nel presente secolo, anzi  consolidato e arricchito da indimenticabili esperienze:  in realtà collocate in una dimensione  atemporale che custodisce l’incorruttibilità dei sentimenti.
 Immergersi in tale mondo,  originario e innocente, ha suscitato nell’artista un’incantevole emozione,  durevole e rigenerante, una fatale svolta della sua vita. Si  è pienamente avverata la predizione di Gabriele  Mancusi, direttore della compagnia aerea “Garuda”, che, nel lontano 1978,  proponendo il primo viaggio in Indonesia, lo  aveva definito per il giovane artista  “ossigeno mentale”, volendo certamente intendere anche l’eccitazione e la  passione che sono alla base dell’invenzione e della produzione artistica.
 De Romanis è stato subito  affascinato dall’ambiente meraviglioso dell’Arcipelago, che è un’autentica  perla del fantastico Oriente. Si è sentito penetrare dal fascino delle  architetture e delle onnipresenti sculture, antiche testimonianze della civiltà  che fonde nell’arte mitologia e vita. È stato attratto dalle plurimillenarie  tradizioni, che tuttora mantengono tutta la  ricchezza di significato nella partecipata ritualità. E, infine, grande stupore  hanno destato in lui la sincerità e la cordialità degli abitanti delle isole  visitate.
 Per il pittore tutto ciò ha  fatto sorgere una nuova vena, pressoché inesauribile, di creazioni, con tante  opere che stupiscono per la bellezza delle composizioni, dei colori, delle  figurazioni.
 La fama del Maestro De Romanis  si è intanto  diffusa in altri Paesi  d’Oriente. Infatti, il 10 maggio 2006, gli viene offerto un incarico di  insegnamento nell’Università di Seul, capitale della Corea del Sud, finalizzato  anche al “gemellaggio”  con un’Accademia  delle Belle Arti italiana. Per “progetti” in corso di attuazione, tale offerta  non potrà essere accettata.
 Vittorio Sgarbi, interprete di  quella che sembrava l’ultima fase dell’evoluzione artistica, così ne ha  definito autorevolmente i caratteri e i riferimenti: “Nei primi anni ottanta  troviamo le suggestioni di Bali e dell’Indonesia a recitare un ruolo di  imprescindibile importanza nei dipinti di De Romanis, come se in Oriente  l’artista avesse trovato la rivelazione che Gauguin aveva avuto nella  Polinesia. Basta però oltrepassare la superficie delle cose e ci si accorge che  si tratta di cambiamenti parziali piuttosto che radicali. Non c’è dubbio che  una certa vena primitivistica di De Romanis si sia rafforzata dopo il soggiorno  in Oriente, assestandosi su un’imagerie che ha cercato di conciliare  immaginazione e semplicità, con le sue figure piatte e regolari, i contorni  arabescati e i colori netti e vitrei. Ma al di là di questo mutamento, il viaggio  nell’Asia orientale ha favorito in De Romanis lo sviluppo di inclinazioni che  già si erano rivelate in  precedenza,  accrescendo un bisogno di essenzialità primordiale che non è riducibile ad una  semplice questione di carattere formale. È la ritualità  l’elemento fondamentale delle opere orientali  di De Romanis: i gesti, le pose, i costumi sono la magia stessa dell’Oriente,  il surreale teatro mediante il quale le civiltà arcaiche riescono ancora a  rappresentare il senso del sacro… All’estremo del suo percorso, dopo aver  solcato i sentieri del magico e del religioso, l’arte si è resa autonoma da  tutto ciò che non è se stessa ed è diventata redenzione, salvezza dell’umanità:  è questo il messaggio che continua a diffondere la pittura sapiente e taumaturgica  di De Romanis, per liberare le potenzialità infinite delle nostre anime, per  aiutarci a diventare più liberi dentro”.Data la coerenza artistica, sempre  mantenuta dal Pittore, nella continuità tra una fase e l’altra del suo  itinerario artistico, acquista ancor maggior rilievo il giudizio finale,  formulato con competenza e rigore dallo stesso critico, nella presentazione della  Mostra a Roma, presso la Camera dei Deputati con il titolo molto  significativo  “La luce interiore di Agostino De Romanis”, dove, dopo aver  ripercorso tutte le fasi della pittura di De Romanis, si sofferma  sul “mutamento” avvenuto dopo l’esperienza di  Bali.
 “De Romanis si proietta più avanti, nella  dimensione dello spirituale e del suo modo di manifestarsi ai nostri sensi, la  visione, con un linguaggio espressivo volutamente semplificato, come se fosse  quello di una civiltà immaginaria, vissuta chissà in quale epoca, che avesse  operato una suprema sintesi, filosofica ed estetica, delle tradizioni  conosciute da una parte e l’altra del nostro   pianeta; una  figurazione  fatta   di motivi subito identificabili, dovunque tu sia nato e cresciuto, di  contorni chiari e addolciti, di compiture   piatte che accolgono colori tendenti al puro e uniforme, solcando il  varco tra il materiale e l’immateriale, il fisico e il metafisico, per cercare  di cogliere il più ambizioso intento che De Romanis si fosse mai proposto:  illuminare sul senso complessivo delle cose. Perché la luce, la fonte primaria  di tutto ciò che è visibile, non esiste, come dicono in Oriente, se non la  portiamo dentro”.
 Intanto  numerosi Dipinti di De Romanis erano stati inseriti, non soltanto in collezioni  private, ma anche in  Musei  e  Collezioni   d’Italia e d’altri Paesi: in particolare  San Salvatore in Lauro di Roma, Ministeri italiani degli Esteri e dei Beni  Culturali, Gedung Arsip National di Jakarta e Rudana di Bali.       Nel 2011 un grande  riconoscimento per il Maestro è la partecipazione alla 54^ Biennale di Venezia – Padiglione Italia – Roma- Palazzo Venezia Giugno  – Novembre .
  Già qualche anno prima che si  completasse il grande ciclo indonesiano, Agostino De Romanis aveva ideato  un’altra grande Opera, di cui però ben pochi erano a conoscenza: “All’origine delle cose”. In tal modo,  ancora una volta, il Pittore è riuscito a sorprendere, per la sua vitalità,  ossia la capacità di ampliare sempre più gli orizzonti della ricerca, spinto  dalla passione della conoscenza che non ha limiti. E, data l’ampiezza della  tematica, lasciava subito prevedere altri sviluppi.
 La profondità dei relativi riferimenti e  significati  è ben esplicitata nella presentazione dal  titolo “Aritmosofia di Agostino De  Romanis”, scrittadall’illustre  critico e storico dell’arte Roberto Luciani, nell’apposito artistico Catalogo,  dov’è riportato anche il mio contributo,   come rievocazione del “magnifico” percorso e ammirazione dell’inimitabile  arte del Maestro.
 Il Saggio di Luciani, che indubbiamente ha  permesso la comprensione dell’ardua materia, alla base dell’intuizione  artistica   e della composizione dei numerosi dipinti, esposti in una grande Mostra  presso il “Centro Culturale Elsa Morante” di Roma, così conclude: “Questo  importante evento è un riconoscimento doveroso ad un artista, il cui discorso è  diventato comprensibile in varie parti del mondo, continuando ad essere fatto  di “numeri” che appartengono alla più antica tradizione veliterna, romana e  italiana. Se è vero che la rappresentazione del quadro è, prima di tutto, il  riflesso dell’interiorità dell’artista, possiamo affermare che la pittura di  Agostino De Romanis è una pittura “Alle origini delle cose”, in cui l’immagine  reale si sovrappone all’esperienza e ai ricordi, in una sorta di discorso  onirico temporalmente sincronico”.
 Come in altre occasioni, Agostino  De Romanis è riuscito ad essere sorprendente, per l’innata capacità della sua  arte di riprendere e continuare, ampliandoli   per  rivitazzarli, temi che  apparivano già compiutamente conclusi: succede anche per le tematiche della  serie “All’origine delle cose”, perché, dopo aver trattato acutamente e  originalmente i “Numeri”, sente  l’irrefrenabile bisogno di continuare con le “Lettere”: mirabili scritture che s’inseriscono armonicamente nelle  composizioni e ne diventano elementi essenziali.Debbo riconoscere che, all’inizio, pur  rimanendo intatto il mio “incanto” davanti alle sue continue “novità”, mi sono  posto una domanda: “Perché il Pittore,  che sempre è stato restio a spiegare i  significati della sua arte impareggiabile –   rispondendo,  a chi poneva domande  in tal senso, che non stava a lui indicarli – ora è lui stesso a scrivere  sintagmi, offrendo, quanto meno, una chiave interpretativa?”
 Io, modestamente, da scrittore a lui  strettamente collegato da quasi mezzo secolo, oltre a gioire di tale osmosi, una  risposta l’ho trovata, scavando nella “memoria” più profonda della nostra  singolare relazione, ricordandone proprio gli inizi, quando rimaneva  incantato  difronte alle “parole”, quelle  schiette e di particolare significanza, che gli estimatori scrivevano di lui.
 Pertanto tale sviluppo è indice di un  ulteriore traguardo da lui mirabilmente raggiunto, riportando sulla tela ed  eplicitando i “pensieri” profondi,     che sempre sono stati propulsori della sua  straordinaria vena creativa.
 È in corso l’aggiornamento  della Biografia del Maestro Pittore e  Scenografo, dal semplice titolo DE ROMANIS pictor-  scritta da Antonio Venditti epubblicata da Palombi Editori  nel 2005 - nella nuova edizione curata da Lorenzo  Zichichi, a cui si devono gli ultimi eccezionali Eventi. Innanzitutto  la Mostra, del presente anno, nel Vittoriale degli Italiani, Riviera  Gardonea Brescia, dal 25 maggio al 26 giugno con  pregevole Catalogo,  firmato da Giordano Bruno Guerri, con scritti di  Marco Di Capua.
 La Mostra -  intitolata “Nella natura la luce dell’anima” - ha avuto un eccezionale  successo di Critica e di pubblico.
 Qualche  mese prima, nella Chiesa  di Santa Maria  dei Miracoli, in Piazza del Popolo a Roma, era stata benedetta e ammessa alla  venerazione dei fedeli l’Immagine della Madonna dal titolo “Il Manto di  Maria della Luce”, dal Rettore Padre Ercole Ceriani.
 È recente la proclamazione di “Agostino De Romanis  Pittore dell’Anno 2024”, per iniziativa del Rotary Club della Capitale, con  la motivazione Al Prof. Agostino De Romanis per il rilevante contributo  apportato alla Cultura Italiana.È in  preparazione una grande Mostra ad Erice in Sicilia, nel luogo dell’Incontro  Internazionale degli Scienziati, organizzato da Antonino  Zichichi.
 Nel Museo locale, già  tre Dipinti del Maestro A. De Romanis sono esposti ed altri tre si  aggiungeranno in una  Sala a Lui  dedicata.
 Il lettore della Biografia troverà nelle  parole stesse del grande Artista la risposta ai quesiti che si pone sulla sua  personalità, sul significato della sua vastissima produzione, sempre frutto di  una sofferta ricerca, sui valori  di cui  è portatrice e sulla funzione dell’arte nel nostro tempo.Alla domanda sulla sua “identità” egli risponde: “Sono un uomo che ha  scelto di fare il difficile mestiere dell’artista.” E  si tratta di un “viaggio solitario”, perché “l’artista  vive in solitudine nel mondo e anche l’accostamento a tendenze e movimenti va  visto sempre come il risultato di una sua automa ricerca.”
 Chiedendogli, infine, qual è la funzione dell’arte nel  nostro tempo, risponde che deve “ristabilire l’amore per la verità nella  riscoperta della bellezza… nell’ideazione che poi faticosamente realizza nella  composizione, che accoglie il flusso meraviglioso del colore, nelle infinite  tonalità della natura, vista con gli occhi interiori.”
 
 Antonio Venditti
 Nel 2019 è invitato ad esporre nel museo civico Archeologico di Anzio una serie di dipinti per un progetto di dialogo tra archeologia e arte moderna e contemporanea. Tale sinergia è stata definita "Dialogo tra Arte-Fatto". Antico e Artefatto contemporaneoin ambiente archeologico. Mostra ideata e creata da Roberto Luciani. Catalogo pubblicato dalla Casa Editrice "Accademia Nazionale d'Arte antica e moderna". Il 9 febbraio 2021, nel Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro in Roma, viene inaugurata la mostra antologica De Romanis. L'arte incontra i sogni, curata da Roberto Luciani (catalogo Il Cigno). L'evento ripercorre tutta la carriera, dagli inizi all'ultima produzione. |